5 ottobre 2010

Storie di Mari e Migranti.

Quest’estate abbiamo scoperto una triste pagina della nostra politica estera. La pioggia di fuoco abbattutasi sul peschereccio italiano in acque internazionali proveniva da un’imbarcazione italiana, cioè pagata dal contribuente italiano, e con ben sei militi della nostra Guardia di Finanza che hanno fatto da spettatori immobili a un attacco armato da parte degli amici libici. Abbiamo scoperto, in sostanza, che noi italiani paghiamo degli stranieri che in un battello, anche quello comprato e regalato da noi, sparano a pescatori italiani che lavorano! La prima spiegazione riportata dal TG1 è stata la seguente: il Ministro Frattini: “i libici hanno sparato in aria però poi hanno colpito gli italiani”. Il Ministro Maroni, invece, disse che avrebbe aperto un’inchiesta i cui risultati a tutt’oggi non è dato di conoscere. Secondo me sarebbe il caso di azzerare e rivedere ogni accordo con la Libia a partire dal diritto dei nostri connazionali di pescare in acque che libiche non sono. Erano a carico dei contribuenti italiani anche le escort, pagate dal governo 80 euro a testa e scelte non si sa come, per ascoltare un discorso di propaganda di Gheddafi in visita in Italia. Un evento del genere, cioè un dittatore che si esibisce in uno show organizzato da un paese europeo e con pubblico prezzolato, non sarebbe neppure ipotizzabile in una qualsiasi nazione liberale, europea o occidentale. I due fatti messi insieme fanno capire quanto sia debole e confusa una politica estera che invece, in una congiuntura così grave, dovrebbe essere chiara e coerente. Stupisce che gli elettori italiani di destra riescano a sopportare lo spettacolo di un’’”italietta” da cinecommedia che prende “schiaffi in faccia” non da grandi potenze, ma da protagonisti molto discutibili della politica arabo-mediterranea. Un altro esempio della confusione che regna in Italia è dato dalle relazioni con l’Eritrea. Il 18 settembre scorso era l’anniversario della feroce repressione che il regime del Presidente Isayas Afawork, al potere da 19 anni, ha condotto contro i dissidenti, quasi tutti eroi della trentennale guerra di indipendenza contro l’Etiopia. Il giorno 18 settembre 2001, infatti, scompariva nelle carceri di Asmara Petros Salomon, il mitico comandante dell’EPLF, poi ministro della Difesa e degli Esteri nei primi anni dell’indipendenza. Di lui e di molti altri intellettuali e cittadini eritrei in carcere non si sa più nulla. Sono scomparsi dopo l’arresto e la detenzione in container nascosti nel deserto eritreo. L’Organizzazione delle Nazione Unite ha chiesto di visitare i luoghi di detenzione senza ricevere alcuna risposta. L’Eritrea è anche responsabile di finanziare Al-Sheebab e le corti religiose islamiche che seminano attentati in Etiopia e in Somalia e che, per loro stessa ammissione, fanno ormai parte del fronte antioccidentale legato ad Al-Quaeda e agli altri gruppi della Jiaad islamica che intendono destabilizzare l’intero Corno d’Africa. Il governo eritreo è stato denunciato dall' EAJA (Eastern Africa Journalists Association) per l’arresto e la tortura dei giornalisti eritrei colpevoli di non pensarla come il Presidente Afawork che vieta l’ingresso in Eritrea anche ai giornalisti italiani ed europei. L’8 e 9 luglio 2010 i cittadini eritrei in Italia hanno protestato davanti all’Ambasciata della Libia a Roma e presso le Prefetture italiane perché molti eritrei che giungono nel nostro Paese per sfuggire al regime di Isaya Afawork vengono inspiegabilmente respinti in Libia dove scompaiono per sempre in campi di lavoro nel deserto. Recentemente altri 250 eritrei, in fuga dalle persecuzioni subite nel proprio Paese, sono stati rinchiusi nella prigione libica di Brak in gravissime condizioni di detenzione. Il 23 dicembre 2009 la U.N. Security Council, con la risoluzione numero 1907, ha accusato l’Eritrea di armare i terroristi somali di Al-Shabab e Hizbul Islam e di sostenere Al-Quaeda. L’O.N.U. ha sanzionato l’Eritrea con un embargo, peraltro parziale, all’acquisto di armi. L’O.N.U., la Croce Rossa Internazionale, l’Associazione per la Tutela dei Diritti Umani del Popolo Eritreo, Amnesty International, Human Right Watch e Reporters Without Borders hanno fatto appello alla comunità internazionale affinché il regime eritreo cessi la sua politica repressiva e di sostegno al terrorismo islamico. Nonostante tutto ciò il governo italiano intrattiene ottimi rapporti con Isaya Afawork e il suo regime. Isaya è ottimo amico del premier Berlusconi e va spesso in vacanza in Italia. Il suo regime è finanziato dall’Italia e dalla cooperazione italiana. I suoi collaboratori si sono incontrati con i nostri ministri e politici anche dopo l’erogazione delle sanzioni O.N.U..
A Nairobi in Kenya, a fine agosto 2010, sono state trovate borse con mappe di attentati terroristici e arrestati una dozzina di uomini che progettavano di commettere attentati. Tra gli obiettivi c’era anche l’International House, il grattacielo che ospita una radio somala, diverse rappresentanze internazionali, la Cooperazione Italiana allo Sviluppo e l’Ambasciata d’Italia a Nairobi. Stupisce che il governo della Repubblica Italiana, cioè di una nazione europea che si definisce liberale e democratica, abbia per amici regimi dittatoriali e che tali amicizie non portino ad alcun risultato utile per il popolo italiano come si è visto nel caso dei pescatori di Mazara del Vallo mitragliati dai libici in acque internazionali.
E’ evidente che quando una politica estera è così fragile, ingiusta e ambigua la nazione che la produce non può sperare di ottenere risultati utili nè per i propri cittadini, nè sul piano di una strategia che sia vincente in ambito internazionale. L’Italia ha bisogno di relazioni forti con i Paesi arabi e africani per ragioni culturali, sociali ed economiche e questo vale, a maggior ragione, per due delle sue ex-colonie come la Libia e l’Eritrea. Ma l’Italia non dovrebbe mai venir meno al perseguimento degli interessi nazionali e ai principi liberali su cui è basata la sua identità storica e costituzionale.

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