2 novembre 2011

L'ombra del fallimento

Il premier aveva promesso un milione di posti di lavoro quando non c’era alcuna crisi, aveva giurato su un’Italia più libera e meno tassata, promesso il Ponte sullo Stretto e altre cento infrastrutture. Nei 15 anni circa in cui è stato al governo del milione di posti di lavoro neanche l’ombra. Della società liberale e meno burocratica tanto promessa non c’è traccia: tutte le lobbies che bloccano lo sviluppo del Paese sono ancora libere di imporre le loro prepotenze e le loro tariffe salatissime e inconcepibili in un mondo libero. L’Italia è diventata sempre più una società chiusa e monopolistica al punto che ormai la classe degli industriali piccoli e medi spinge per un cambio di governo e Confindustria si dichiara stanca di continui annunci senza alcuna decisione. Il Ponte sullo Stretto e le altre opere non sono state neanche iniziate o definite: né negli anni 90 quando la crisi non c’era, né negli anni seguenti fino ad oggi. L’Italia ha le stesse autostrade degli anni 60 e meno ferrovie di allora. L’Alitalia non è stata venduta quando lo proponeva Prodi e l’avrebbero pagata a peso d’oro: oggi non la vuole più nessuno. In compenso le società del premier, televisioni, banche, case editrici, giornali, immobiliari, supermercati, sono state favorite da leggi ad hoc, (un esempio il digitale terrestre e la spartizione delle relative concessioni), come succede nelle dittature del Terzo Mondo. I guai giudiziari del premier, falso in bilancio, evasione fiscale con apertura di società finanziarie all’estero, corruzione di giudici, adescamenti di minorenni e frequentazione di escort, veri o presunti che siano, sono stati messi a tacere grazie a scadenza dei tempi, prescrizione, indulti, amnistie, leggi ad personam, immunità e privilegi di ogni genere.

Il governo non è capace di fare gli interessi del nostro Paese e di affrontare le sue stesse contraddizioni: questo non se l’aspettavano neanche i suoi elettori e sostenitori. Il governo ha elaborato una media di due provvedimenti al mese e non è riuscito a convertirne in legge uno. E’ andato sotto 94 volte per i voti contrari della sua stessa maggioranza, eppure ha chiesto la fiducia per evitare il dibattito parlamentare 51 volte, come quando ci sono stati gli interessi del premier di mezzo e ha lavorato ad oltranza approvando il Lodo Alfano in 4 settimane. Dopo aver detto, fino a due mesi fa, “l’Italia sta benissimo” il premier sta cercando di mantenere il potere fino al 2013 o di scaricare su qualcun altro le decisioni da prendere. L’Unione Europea pressa l’Italia che da circa un mese viene accomunata alla Grecia: rischiamo il fallimento. Il governo ha passato l’estate a dire tutto e il contrario di tutto, una lunga serie di annunci che poi si sono rivelati falsi. Soprattutto non ha detto che le misure già prese hanno ridotto sul lastrico gli italiani e non sono state capaci di rilanciare l’economia. La gente senza soldi non spende. Se non spende la domanda è bassa e l’impresa è costretta a licenziare. Il governo sta facendo i tagli alla spesa senza individuare gli sprechi, i privilegi, le assurdità delle pensioni d’oro o baby su cui andrebbero fatti i doverosi prelievi. Non si dimezzano i costi scandalosi della politica e, dopo un’estate di proclami, sono rimaste tutte le province inutili; sono aumentati di 1.300 euro al mese gli stipendi dei parlamentari e dei ministri; è rimasta intoccata anche l’assurda possibilità di ricevere due entrate per i politici che hanno due incarichi; sono rimaste le 72.000 auto blu italiane, quasi tutte di grossa cilindrata, con autista. Sono rimaste le Audi del premier che danneggia l’immagine dell’industria nazionale usando macchine tedesche. Come se in Italia non ci fossero Maserati, Ferrari, Lancia e Alfa Romeo. Si colpiscono invece le pensioni già basse dei lavoratori e gli stipendi di operai, impiegati e professori che sono già il 40% più bassi della media europea. Si lascia intatta la Casta politica e la legge elettorale che l’ha protetta e consolidata non è stata ancora abolita.

Guardate i telegiornali fatti nel Regno Unito, negli USA, in Germania, in Svezia, in Cina, o anche nei Paesi Arabi. CNN, BBC, Euro News, SkyNews, Al Jazeera, NDTV, CNBCA, CCTV News descrivono un’Italia che non c’è nei telegiornali del nostro Paese. Gli italiani, come ai tempi del fascismo, non sanno quello che succede in Italia.

I telegiornali italiani parlano bene del governo e poi passano alla cronaca nera. I media stranieri raccontano cose diverse. E’ vero che Sarkosi non doveva permettersi di ridere dell’Italia una settimana fa alla conferenza stampa dell’Unione Europea. Il governo poteva e doveva emettere una nota critica ufficiale, ma non l'ha fatto perchè neanche quello è capace di fare. Quel giorno tutti i giornalisti in sala, provenienti da tutta Europa, hanno riso alla battuta di Sarkosi: quella è la cosa più grave perché dà l’idea dell’immagine dell’Italia oggi nel mondo a causa di un premier che aveva promesso una nuova politica e ha prodotto solo una ridicola messa in scena di sé stesso. Una cosa del genere non sarebbe mai successa con Prodi.

Il brand Italia, un marchio di successo nel mondo da 3.000 anni, può ancora riprendere a volare, ma serve gente seria disposta ai rischi di una nuova avventura politica che sia facilmente riconoscibile dagli italiani come credibile e nuova rispetto al passato. C’è uno spazio politico enorme che i leader attuali non sanno riempire per dare la svolta che il Paese si aspetta. I partiti di centro e di sinistra non trovano unità di intenti, né indicano con chiarezza obiettivi e metodi. Continuano a tenere alti gli steccati ideologici, a curare interessi personali, a distrarsi nei dettagli delle polemiche personali senza utilità per il Paese. E’ evidente che dovranno al più presto scegliere programma e leader. Poi, ognuno di loro, dovrà accettare di fare la corsa da gregario per il leader indicato; come fece la Clinton per Obama nelle ultime presidenziali americane.
Ne saranno capaci Renzi, Bersani, Di Pietro e Vendola?
E che manovre sono pronti a fare Fini, Casini e Rutelli?

Un nuovo impegno dipende da tutti noi. Bisogna smettere di parlare come se gli italiani fossero sempre gli altri e l’Italia una nazione “altra” dove si vive per caso. E’ un momento critico, un 1943 in cui ognuno dovrà assumersi la responsabilità di dire da che parte sta e acquisire come orizzonte quotidiano l’impegno del fare per il bene del Paese. Senza condoni e senza ritardi. Con nome e cognome.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

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