15 novembre 2011

Viva l'Etiopia.

Mercoledì 2 novembre.
Addis Abeba, Etiopia.
Agli arrivi dell’aeroporto, all’uscita dove c’è la gente che aspetta, una muraglia umana di volti neri, classici, gli occhi scuri che scrutano. La classicità disegna le guance, le linee della fronte aperta, i ricci corti degli uomini dal volto severo, gli occhi mandorlati delle donne dallo sguardo orgoglioso e dolce.
Profumo di cotone degli shamma che sa di buono, odore di caffè tostato.
Giovedì 3 novembre.
Kofale.
Storia di K.
Quando nasce la madre la promette sposa alla sua vicina che l’ha visitata per prima e ha un figlio maschio di due anni. Questo bambino muore all’età di 4 o 5 anni. La promessa della madre sfuma. Il padre qualche anno dopo promette in sposa la sorella di 16 anni e incassa le mucche per la cessione della figlia. Arriva il giorno in cui l’uomo deve prendere in consegna la sorella di K., ma la sorella è scappata di notte e il padre di K., che ha già impegnato le mucche in una vendita, offre K. che ha 6 anni. L’uomo è furioso con il padre, valuta il nuovo acquisto ma non lo reputa adeguato e dopo molte discussioni se ne va pieno di collera con K. e suo padre.
K. cresce nell’isolamento e nel rifiuto del padre che la considera una buona a nulla. Buona neanche a sostituire la sorella per le necessità della famiglia.
K. ha trovato aiuto in Padre Angelo e rifugio nella Missione di Kofale.
E’ lei che, in una mattina di sole, mi aiuta a comprare a Shashemena il gabi più bello, il berberè più fresco.
Sabato 5 novembre.
Kofale. Faccio una camminata. Molti carretti trainati da cavallini e muli sfrecciano e alzano polvere rossa. Piccole animate botteghe. Musica dal ritmo vivace dagli altoparlanti dei bar. Tavoli da ping pong improvvisati sui bordi delle strade. Donne coperte di nero con il velo che lascia scoperti gli occhi, altre con la testa coperta ma il viso scoperto e l’abito colorato, quasi nessuna col capo scoperto. Tantissimi bambini. Due o tre chiedono soldi con un improbabile inglese: you! You! Money! give me money! give me caramella! La maggior parte mi ignora. All’incrocio con la strada asfaltata che porta ai monti del Bale, costruita 2 anni fa, sorge il monumento in bronzo alla donna Oromo, viso scoperto e velo in testa, austera, dall’aspetto severo di contadina e madre. Su un’altra strada parzialmente asfaltata ci sono i negozi più importanti, le moschee, il municipio, la polizia e sta sorgendo il Centro anziani per iniziativa di Angelo. Angelo segue una o due volte a settimana le costruzioni in corso nelle Missioni di Kofale, Dodola, Herero e Adaba. Ovunque sono in costruzione o ampliamento scuole, chiese, nuove case e alloggi che visitiamo insieme. Il venerdì 4 novembre abbiamo girato a lungo tutte e quattro le missioni. Angelo dirige con cuore, impegno e competenza i cantieri.
La strada è bella, tutta asfalto e con panorami profondi di campi d’orzo e di grano macchiati dalla sagoma verde scura di sicomori alti e maestosi.
Si attraversa il fiume Wabi Shebele.
In alta montagna non si incontrano che due o tre macchine e qualche camion, ma il pericolo viene dalle mandrie che percorrono la strada con l’incuranza dei pastori che dovrebbero guidarle, o dagli asini e dalle persone che l'attraversano di continuo.
6 novembre, Addis Abeba
Yemserac ci ha invitato a prendere il caffè da lei domenica pomeriggio, ma l’orario d’arrivo è incerto, il viaggio da Kofale ad Addis Abeba più di 4 ore.
Io e Padre Angelo arriviamo a casa sua alle 6 del pomeriggio, già buio.
Addis Abeba è così grande e cambiata che non la riconosco più.
Oltre a lei, che ha lavorato con noi tre anni e mezzo e visto crescere nostra figlia fin dall’inizio, c’è Sellas, la vecchia cara dolce Sellas, ma poi scopro in pochi istanti che Yemserac è riuscita in segreto a farmi una sorpresa. Ci sono tutti quelli che in nove anni di Etiopia hanno avuto a che fare con noi, con la nostra famiglia.
C’è anche Scetei, a cui avevo comprato la casa ma che avevo licenziato, con lei i pianti di commozione e gli abbracci sono più forti. Tutti e due ci sentiamo in colpa e ci chiediamo scusa e perdono. Ci sono tutti, anche le nipoti e i figli, c’è Lattai che fa il miglior caffè etiopico esattamente come lo faceva 15 anni fa. Siamo travolti tutti dall’emozione, si piange tutti mentre non finiscono di abbracciarmi e baciarmi. Ognuno ha portato la sua specialità di cucina regionale etiopica, Yemserac ha cucinato un doro da antologia, mi riempiono di regali e ricordi mentre il fumo dell’incenso e del caffè pervade l’aria e mi sembra di non essermi mai mosso dall’Etiopia, di non essere mai partito per Cuba, per l’Italia e per il Kenya.
Faccio in tempo a salutare alcune mie ex-studentesse, care e affettuosissime anche loro, e a salutare la barba bianca di Padre Angelo con cui mi sono confrontato con molto affetto, a volte con la contrarietà delle opinioni che possono essere diverse, ma mosso sempre da una stima incondizionata e profonda.
Grazie di cuore Angelo, grazie ai frati, alle suore e alle ragazze della Missione, grazie Yemserac, grazie Sellas, grazie Lattai, grazie Scetei, e grazie alle piccole Nardòs, Naomi e a Bethelem, grazie anche a Sennait, a Genet e a Bersabet.
Grazie Etiopia.
7 novembre, Roma.
Per una triste coincidenza arrivo nel momento in cui Pietro Priori, il carissimo Pietro, lascia questo mondo. L’sms sul telefono appena acceso mi dà una notizia di cui ancora non riesco a capacitarmi. Ricordo di Pietro la grandezza d’animo unita all'umiltà. Pietro che ha dipinto la nostra casa e ne ha fissato i colori, Pietro l’artista sempre pronto a aiutarti, a sorridere bonario, ad accorrere per darti una mano. Pietro, avido dei miei racconti, poteva lui raccontarmi il mondo intero con la sua saggezza, il suo stile inconfondibile, la sua elegante semplicità, la sua onesta e bellissima umanità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

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