24 dicembre 2011

Il viaggio di Natale. Laikipia Plateau.

Lunedì 12 dicembre. E’ il Kenyatta Day, partiamo alle 7.20 dopo un buon caffè. In uscita da Nairobi sulla strada per Thika ci sono i cantieri per la costruzione del ring-road, ma a parte un po’ di sterrato imprevisto e alcune deviazioni, l’uscita dalla città è tranquilla e veloce. Alle 10.30, dopo 200 chilometri, siamo a Naniuki. Da qui inizia la strada che ci porta nel cuore dell’altopiano di Laikipia.
Faccio il pieno a Oil Lybia e prendo la “tarmac” road per Dol Dol. Dopo 9 km giro a destra direzione Naibor. Dopo 13 km raggiungo la “dirt” road e si continua su questa deserta “murrum” road per altri 11 km. Non ci sono cartelli, ma mi sono scritto le spiegazioni di Sophie e ho disegnato sulla mia agendina una piccola mappa.
Si arriva ad uno stagno pieno di mucche intente all'abbeveraggio; la strada si inerpica su una stretta collina e ridiscende sulla terra rossa. Su una pietra c’è inciso EL K, lì giro a sinistra: la debole traccia della strada non c’è più. Le piogge di novembre sono state disastrose e quando l’acqua s’è ritirata ha lasciato rovina e solchi profondi mezzo metro. Rimane una confusa pietraia su cui dovrò posizionare le ruote evitando di finire con una ruota al centro o ai lati della traccia: vista la profondità sarebbe la fine del viaggio e sarei costretto ad aspettare soccorsi e traino.
Guido con la massima concentrazione scartando ora a destra, ora a sinistra, o tirando dritto al centro. Tengo con forza il volante che tende ad andarsene dove vuole perché le ruote non trovano una sufficiente base d’appoggio e slittano sul fondo ripido.
Dopo 5 minuti molto “saltellanti” la pista diventa più regolare. Nei punti più bassi, in prossimità del fiume, c’è ancora molto fango.
Incontriamo giraffe, dik dik, zebre, scimmie, antilopi, impala, gazzelle. Continuiamo per altri 9 km senza incontrare nessuno.
El Karama è un’espressione araba; significa “Something of honour, an aswer to prayer, a treasured possession”. Il nome fu dato da Paddy Batelle, un soldato irlandese che dopo la prima guerra mondiale aveva tentato di stabilirsi qui. Per fare i 43 chilometri dissestati da Naniuki a El Karama Paddy impiegò due mesi con un mulo. Costruì una semplice casa e cominciò ad avere qualche mucca e animali da cortile. Nel 1925, dopo la morte per malaria della moglie, Paddy decise di tornare in Irlanda. Il ranch di El Karama passò agli Osborne che lo ingrandirono e svilupparono il corpo centrale della casa. Nel 1963, con l’indipendenza del Kenya dal dominio inglese, gli Osborne si trasferirono in Sud Africa ed El Karama fu comprato da Guy Grant, nato in Kenya nel 1928, figlio di Hugh Grant, soldato, in Kenya dal 1922, Console britannico del Sud Etiopia. Nel 1970 Guy sposò Lavinia, artista che descrive nei suoi dettagliati disegni la flora, la fauna e i paesaggi di Laikipia.
Ad accoglierci a El Karama è Sophie, la giovane e bionda moglie di Murray Grant, il figlio di Guy e Lavinia.
13, 14 e 15 dicembre. El.Karama è una proprietà di circa 6500 ettari. L’altitudine è 1700 metri. L’ambiente è quello dell’altopiano africano: praterie, savana, tratti di foresta nei pressi del fiume. Ospita 70 specie di mammiferi, inclusi leoni, leopardi, elefanti, ippopotami e bufali, la non comune in Africa Grevy’s zebra, la giraffa reticolata e l’African Hunting dog.

Le “bandas”, metà capanne di legno e pietre, metà tende, sono davanti al fiume: la vista è splendida. Siamo i soli visitatori. Non c’è elettricità, né generatore di corrente. La scarsa luce viene da lampadine solari a led nelle bandas, o da lampade a kerosene e candele nel “ristorante” all’aperto. Le bandas sono dotate di acqua calda grazie agli impianti solari, ma sono piuttosto spartane nonostante qualche tentativo di esotico lusso.
La sera nel piccolo ristorante l’addetto al servizio, Lovii, un simpatico signore di etnia Kalenjin, ci serve cene eccellenti con decine di mosche salsiccia lunghe tre centrimetri, i maschi delle safari ants, che si gettano sulle lampade, ronzano intorno ai bicchieri, planano sulla tovaglia. L’acqua da bere è piovana. Di giorno eserciti di formiche possono attaccare una tenda o un bagno. Nel bagno l’acqua è quella del fiume: torbida, scura, marrone. Facciamo una rapida rassegna degli amici e dei parenti che potrebbero essere contenti di passare le vacanze in un posto così : solo uno o due, a fatica, superano l’esame. Oltretutto El Karama è piuttosto caro, anche se molto meno di altri ranch di Laikipia.
Nel ranch, morto Guy, è rimasta Lavinia con pochi parenti. Ci sono 800 mucche da latte e il latte viene venduto tutti i giorni alle industrie di zona. Ci sono 15 cavalli, tutti gli animali da cortile, un orto ben fatto. A Laikipia caffè e thè non sono adatti, il terreno è in gran parte duro, pietroso e arido e ci sono molte annate di siccità. Le notti sono fredde. Nel ranch c’è un immenso bacino artificiale per raccogliere l’acqua e giganteschi serbatoi di riserva, la penuria d’acqua è un incubo. Si potrebbe coltivare il grano, ma costerebbe parecchio e non ci sarebbe una buona resa.

L’altopiano di Laikipia, a nord-ovest del Monte Kenya, è 9.500 chilometri quadrati: verdi praterie, macchie di durissime acacie spinose, gole di roccia, fiumi che si gonfiano con le piogge e si seccano nel periodo successivo. Due settimane fa il ranch è rimasto isolato a causa delle rovinose piogge di ottobre-novembre. Ora il terreno si sta asciugando e sta diventando duro come la pietra. La natura è selvaggia e incontaminata, senza alcun insediamento umano se si escludono i pochi ranch e qualche piccola comunità agricola autosufficiente. La pressione demografica che nei momenti di crisi pesa sui ricchi proprietari terrieri d’origine europea qui è assente. Nelle belle giornate si gode della linea elegante del Monte Kenya, 5.199 metri, grigio tagliente macchiato di neve bianca sul fondo blu del cielo.
La mattina all’alba andiamo in esplorazione in macchina; al mattino l’erba è troppo bagnata per camminarci sopra. Ci accompagna sempre Joseph, da 17 anni la guida di El Karama, di etnia Meru, un uomo alto e dal fisico asciutto, cortese e discreto, che conosce ogni pianta, uccello, insetto o mammifero di Laikipia. Ad una curva siamo ostacolati da tre leonesse che affamate ci sbarrano la strada: appaiono stanche e nervose, forse deluse dalla caccia andata male. Due si siedono sulla pista e non ci fanno più passare. Poi si alzano quando mi avvicino e ci guardano di traverso con la luce bassa del sole che illumina i loro sguardi felini. Scorrazziamo con la piccola jeep fino ad attraversare più volte il fiume, l’erba è più alta dell’auto e la pista non c’è, siamo noi a farla per la prima volta sull’umido del bush. Alcuni passaggi sono difficili perché tozzi arbusti di spinosissimi whistling thorn sono a poca distanza e non ci passo se non a rischio di strisciare irrimediabilmente le fiancate. Salite e discese su percorsi di erba alta, a volte di fango, o di pietra, o di terra rossa. Spengo il motore ogni volta che incontriamo un branco di elefanti, di giraffe, di bufali o di zebre. La vegetazione è brulla, ma diventa rigogliosa e piena di colori nei pressi del fiume che gorgoglia ricco di acque.
Tutti i giorni, due ore e mezza prima del tramonto del sole, andiamo a camminare. Joseph reca con sé il suo Remington con pallottole 458 Winchester Magnum Super Grade in grado di fermare un elefante o un bufalo che carica. Camminiamo sempre in silenzio. Joseph per primo, poi mia figlia, poi mia moglie, infine io. A volte seguiamo le tracce lasciate dagli animali, le impronte che ci dicono da quanto tempo è passato un leone o un leopardo, una gazzella o una giraffa. Il silenzio è interrotto dal consueto concerto di uccelli che a volte fanno frullare le ali spaventati dal nostro inaspettato arrivo. E’ un caleidoscopio di colori, incontri, emozioni che non ci fa mai sentire la fatica delle due ore e mezzo di camminata nell’erba alta o su sottili creste di roccia a fianco della pista. Ritorniamo sulle praterie dell’altopiano per incontrare centinaia di impala, antilopi, giraffe, faraone e struzzi in fila indiana, zebre e gazzelle e per goderci il tramonto con vista a 360 gradi. Torniamo alle bandas giusto in tempo per inebriarci dei bagliori di rosso e viola del sole scomparso e ascoltare il concerto di migliaia di uccelli e grilli.
Tra il safari del mattino e la camminata della sera c’è molto tempo per leggere, dipingere con i colori ad acqua, riposare, prendere il sole in riva al fiume, guardare le piccole creature nei pressi della nostra “banda”: scoiattoli dalla lunga coda rossa, uccelli multicolori e iguana variopinti… Mia figlia passa molto tempo nella bella casa di Sophie e Murray con i 7 cuccioli di Trixie, lo Staffordshire bull terrier di casa.

16 dicembre. Dopo l’ennesima meravigliosa colazione con la vista del fiume Naso Nyiro scintillante al sole dell’alba partiamo per Naniuki. Ancora giraffe, antilopi, zebre e una sorpresa: hanno messo a posto la strada che è diventata abbastanza facile. Non so se in me prevale la contentezza per lo scampato pericolo, o il rammarico per come ho fatto la strada all’andata. Rimangono sempre 30 chilometri di orrida e deserta tarmac road. Arriviamo a Naniuki. Davanti alla City Butchery e al Best Tea Room le donne Turkana, Samburu e Masai con i loro shukas bianchi e neri. Vicino alla moschea gruppi di Borana e di Somali. C’è animazione e molte code di auto che fanno benzina e alzano nugoli di polvere in manovra. Shell e Caltex l’hanno finita: a Oil Lybia ce l’hanno ancora e approfitto. Sulla strada di ritorno a Nairobi il cartello che indica che abbiamo appena passato l’Equatore. Faccio la spesa della frutta da una bella ragazza vestita con un kanga giallo ocra a fiori rosso porpora.

P. S.: agli amici che mi dicono che porto la mia famiglia sempre in posti avventurosi: la destinazione e il lodge sono stati scelti da mia moglie e io mi sono limitato a dare il mio consenso.

Buon Natale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

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